26 giugno 2011

I sensi sono illusori


I Greci pensavano che se una verità è vera per il mondo sensibile, allora lo è anche per un piano astratto, metafisico, per la sfera affettiva
Quando i Greci si sbizzarriscono sullo spiegarci che l'aria, attraverso dei processi naturali, diventa roccia, per poi ridiventare aria (ma che cazz..?) non lo fanno solo per osservare il mondo naturale, ma per arrivare a delle conclusioni utili anche nel rapporto uomo-donna, o amico-amico. La parola amico era intesa nella sua accezione più forte, più pura.
Quando Parmenide ci dice che tutti i sensi sono sbagliati, che il mondo è un'illusione, che noi non esistiamo, lo fa con convinzione. Per i Greci i sensi erano illusori, e tutta la ricerca intellettuale parte da questo presupposto. Addirittura, quando un astronomo sbagliò epoca e disse che la Terra ruotava attorno al Sole, nessuno stette a dargli credito.
Solo perchè i Greci non avessero, diciamolo, capito un cazzo della fisica, non siamo obbligati a screditare questo sforzo. La ricerca dell'unica, vera invitta oggettiva Verità, per i Greci, è quasi disperata: non ha metodo per il semplice fatto che la storia del pensiero è ancora agli albori. Dice bene Aristotele quando scrive 'In principio gli uomini cominciarono a filosofare quando conobbero Thauma'. Thauma era la meraviglia, ma anche la paura, il dolore. Se penso ad Eraclito che odia la società, Platone che forse sapendo di esagerare disdegna il corpo, a Diogene paragonato ad un cane, e al mio Lucrezio divorato dalla disperazione, non mi viene da dire che fossero persone in armonia con il mondo. La ricerca della felicità è come una corsa al buio per sfuggire al dolore.
''Le nostre paure si rivelano la paura del buio di un bambino [...]'' (Tito Lucrezio Caro)
La filosofia diventa la luce che ci illumina. Qualcosa di sicuro, di incontrovertibilmente vero. Eppure, non c'è nulla che sia davvero sicuro per i filosofi. Nulla a cui tutti convengano. Nulla, infatti, si può dire sicuro.
I filosofi naturalisti non fanno esperimenti per dimostrare le loro teorie sulla fisica, ma dei ragionamenti, perchè i sensi sono illusori. Ed effettivamente è vero. Da malato il miele mi sembra amaro, le figure perfettamente parallele mi sembrano curvare verso un punto di fuga che dipende dalla mia prospettiva.
Pensare che i Greci fossero partiti da questo per arrivare a certe conclusioni è, io credo, un esame da fare in seconda battuta. I sensi sono illusori perchè l'amico di cui ti fidavi ti tradisce, perchè la tua donna non ti ama più, perchè gli eventi ti travolgono, lasciandoti impotente. Da qui la convinzione che molte cose siano prestabilite da un Fato superiore.
Credere di poter essere sicuri di tutto è, di solito, la peculiarità del personaggio-motore della Tragedia. Quello che soffre, e che fa soffrire.
Tutto l'Edipo Re ruota attorno a questa colpa: nella prima scena il protagonista è comodamente sdraiato e carico d'ibris, ignaro di essere la causa della peste che affligge la città su cui regna. Tanto per ricostruire la fabula, il re Laio aveva abbandonato suo figlio appena nato su un monte credendo che sarebbe morto, ma un pastore lo prese e lo diede al re di un'altra città. Cresciuto, Edipo uccide suo padre, ignaro di chi ha davanti, sulla strada per Tebe, libera la città dalla sfinge e sposa sua madre la regina Giocasta. Marito di sua madre, fratello dei suoi figli, Edipo capisce dopo una lunga, dolorosa, disperata indagine, di essere la causa di tutti i suoi mali e, cieco da vedente, si toglie la vista avuta troppo tardi la consapevolezza delle sue azioni.
Nietzsche sostiene che la tragedia sia 'il mito che risorge come un eroe ferito'.
Non è importante che le trame siano simili a quelle di Beautiful: siamo Edipo ogniqualvolta una verità sulla quale avremmo giocato anche le nostre palle viene a mancare. La tragedia è, prima di essere una rappresentazione teatrale, vita dolorosamente ed intensamente vissuta.
Un santo dimostrò attraverso un sillogismo l'esistenza di Dio, basandosi sul fatto che, se sentiamo la sua presenza, allora c'è. Kant ci insegna che se ci convinciamo di avere 100 talleri nella tasca, li sentiremo anche suonare mentre camminiamo, ma di fatto abbiamo le tasche vuote. Marx aggiugerà che possiamo perfino entrare in un negozio e fare dei ''debiti'' su quei 100 talleri, come la civiltà ha fatto dei debiti sulla religione e non riesce a pagarli. Cos'è vero? Può sembrare pleonastico chiederselo, ma se si pensa che da certe verità dipende praticamente tutta la nostra vita il problema merita quantomeno una riflessione.
Non credo troppo nelle delusioni. Nelle piccole delusioni. Di solito si hanno quando si fanno dei debiti su delle realtà che si spera si verifichino. Cerco di fare dei debiti solo sulle realtà presenti, ma anche questo ha dei costi. Pone dei limiti alla lungimiranza, ma mi proteggo dagli imprevisti. E spero davvero di non proteggermi come il borghese in quel famoso monologo di Pasolini. Spero, con tutto il cuore, di essere un buon egoista. A volte me lo chiedo.
Delle grandi delusioni invece ho paura. Non voglio fare la fine di Edipo, di spendere la mia vita per un ideale sbagliato, di mettere il piede in una palude dopo un attimo di gloria, come dice Baudelaire in quel sonetto che invidio tanto.
Per fortuna di 'grandi' delusioni non ne ho avute tante. Forse l'idea di grandezza è molto soggettiva, dovuta all'abitudine. Illusoria.
Quando ripenso al governo Prodi che cade dopo pochi mesi, quando ci avevo tanto sperato, mi dico: 'Che sarà mai, ritorneranno tempi migliori'. Se sento in televisione una strage di famiglia, un infanticidio, e mi dimentico che è tutto uno stratagemma dei media per non parlare d'altro, mi chiedo: 'Succede sempre, perchè ce lo dcono adesso??'. Mi sento assuefatto da certe verità, mi aggrappo a qualcos'altro, o al fatto che sono disgrazie lontane da me. Quando ho pensato di perdere Martina e non poter più stare con lei non per cattiveria, ma per delle dis-affinità intellettive ed emozionali, forse per l'età troppo piccola paragonata a degli impegni tanto grandi, ecco, in quei momenti ho avuto davvero paura. Mi fa davvero paura l'idea di perderla, e sento tuttora il dolore provato in quei (grazie a Dio) pochi momenti in cui per poco non ci saremmo lasciati. Quando ci siamo messi insieme credevo che semmai lei non sarebbe riuscita ad esprimersi, avrei capito tutto da me, e che non avremmo mai litigato. Se mi avessero spiegato che, nell'amore come nella vita o in un famoso romanzo di Manzoni, ogni cosa si ritrova assieme al suo contrario, mi sarei fatto qualche domanda in più. Far male senza capirlo, questo mi spaventa. L'inconsistenza di certe mie paure, rilevata solo con un sudato 'senno di poi', invece, mi mette in guardia da certi timori. Se butto un occhio indietro nella mia infanzia mi accorgo di essere stato più fiducioso, forse più ingenuo. La fiducia nelle persone la porto ancora con me, sono convinto di riuscire a trarre il bene nelle persone, anche quando è difficile da trovare, e valorizzarlo.
''Quand'ero giovane la vita mi sembra meravigliosa, un miracolo'' - The Logical Song, Supertramp
Se ripenso a mio padre, alla mia famiglia, al rapporto tutto mio con Dio, alla scuola, penso di essere stato ferito più volte nel profondo.
Mi ricordo che, chissà per quale motivo, per tre giorni ho fissato il crocefisso arrabbiato contro Dio. Lo accusavo. C'erano tante cose che non andavano. Non era un periodo tanto brutto, a ben vedere, ero semplicemente arrabbiato con il mondo. A mio padre voglio bene, ma questo non mi vieta di avere una pessima opinione di lui: se Gesù poteva dire con un certo candore ai Farisei che le puttane meritavano la Salvezza più di loro, mi sento, come dire... giustificato
Thauma io la vedo così. Thauma è l'urlo del disperato, è la luce nell'occhio del saggio. E' paura, è dolore, è l'Essere heideggeriano che si rivela all'uomo, Pilato che capisce di non aver capito niente solo nel punto di non ritorno, come in una tragedia greca. E' l'incontenibile irrazionalità che neanche gli artefici di una metafisica - correlazione fra proposizione e dato di fatto può contenere, è propensione verso la divinità celeste che, immobile,  tutto muove, come vuole Aristotele. La prima scintilla di ogni movimento dell'intelletto: l'amore che ci lascia senza parole, la luce tanto forte da renderci ciechi,  la propensione all'Infinito leopardiano. L'inizio di una corsa frenetica, lunghissima, irta di ostacoli, bellissima.
In procinto di morire, la vista si offusca e riusciamo a vedere solamente una luce che ci inghiotte. Heidegger dice che la morte è lo Scrigno dell'Essere. Non vedo l'ora di capire perchè

10 giugno 2011

Hai diciotto anni, Silvia. E sei incinta.

Stai davanti al computer, come tutte le ragazze della tua età.
Scorri la bacheca e vedi un link.
La foto di una donna incinta. “Questa è l’unica pancia di cui una donna non si vergognerà mai”, recita la didascalia. Non sai nemmeno chi l’ha condiviso. Sorridi, vedendo tutti i commenti entusiasti che vi sono sotto.
Poi ti porti una mano sul ventre e scoppi a piangere.
Hai diciotto anni, Silvia, e sei incinta. Incinta di otto mesi. Lo sanno tutti, Silvia, non c’è più modo di nasconderlo. Parlano di te, a scuola. Commentano, ti biasimano. C’è anche qualcuno che ti invidia. Perchè, tu, Silvia, hai fatto sesso prima di tutte le tue amiche.
E lui è bellissimo.
Stupendi occhi verdi, biondissimi capelli. Non sai cos’abbia trovato in te, sai solo che improvvisamente non ci trova più nulla. Tu hai il suo seme in grembo, e lui finge che quell'errore non sia anche suo. Ti chiama puttana. Ti chiama puttana perchè non capisce, perchè ha paura. Perchè ha vent’anni, Silvia, ma nemmeno lui sa cosa fare.
Lo vedi con la sua nuova ragazza. Le ficca la lingua in gola ogni volta che passi loro accanto. E allora piangi. Piangi perchè hai combinato un casino. Piangi perchè hai amato un bastardo e ti sei fatta incastrare. Piangi perchè non sarà lui a dover sfornare un bambino, non sarà lui a doverlo crescere, ma tu. Tu, Silvia. E ti vergogni. Ti vergogni di te stessa, ti vergogni di portare in grembo l’erede di quello stronzo. Lo odi. Li odi entrambi. Quel bastardo che cresce nel tuo ventre non è che il simbolo di quanto tu sia stata stupida. L’umiliazione per cui tutti ti biasimeranno a vita. E' il tuo fardello, ora. E non sai se riuscirai a sopportare la sua presenza. 
Hai provato proprio oggi a parlare con il padre. Ti ha insultata, ti ha accusata. Avresti dovuto abortire, secondo lui. Gli hai detto che potreste darlo in adozione e ti ha riso in faccia. Nessuno vuole un bastardo, ha risposto. Allora avreste potuto tenerlo voi. Anche se non state più assieme, anche se lui ti ha scaricata. Avreste potuto passare del tempo insieme ogni tanto, per far sapere al piccolo di avere un padre. Ti ha guardata come se fossi pazza, Silvia. Ti ha detto di non volerlo, un impiastro del genere. Gli hai rovinato la vita, Silvia. Come se non fosse stato lui ad insistere tanto per far sesso lo stesso, quella sera.
Lo detesti per questo. E ti vergogni di essere stata con lui. Il bambino che nascerà, già lo sai, sarà sempre il simbolo della tua stupidità. Ti vergogni di averlo in grembo. 
Ma la verità, Silvia, è che ti vergogni solo di te stessa. E il bambino è solo una scusa. Non lo odi, non lo odierai mai. Non puoi. E' tuo figlio. Lo amerai. Lo ami già, per quanto tu possa essere delusa da suo padre. Lo ami, Silvia. Perchè in fondo sei una ragazza come tutte le altre, e non potrai mai vergognarti di essere la custode di una nuova vita. Una vita nella quale ci sei tu. Nella quale ci sono i tuoi sbagli, ma dei quali tuo figlio non dovrà mai portare il peso. Lo ami già, Silvia.
Ti asciughi le lacrime, sorridi. E condividi anche tu quel link, per dimostrare a chi parla di te che tu andrai avanti a testa alta, faticherai, cadrai, ma ti rialzerai.
Non penserai più nemmeno una volta quelle cose orribili.
E' un dono, quello che porti in grembo, e ora lo sai.