25 aprile 2011

Cows and jeans. 9

Non sapevo se sentirmi felice o offesa dalla sorpresa con cui Hayley mi accolse.
Certamente, però, rimasi colpita quando chiamò a raccolta i suoi figli pregandoli di scusarsi con me, uno per uno, per ciò che mi avevano rispettivamente fatto il giorno prima. Le bambine e Thom si misero persino a piangere, facendomi stringere il cuore. Robin, evidentemente imbarazzato, farfugliò le sue scuse elencando i suoi misfatti. Johnny, dai canto suo, non disobbedì alla madre, ma lo sguardo con cui mi fissava mentre si scusava traboccava sfida –cosa per cui la madre si scusò nuovamente.
A quel punto una cosa era chiara. Anzi, due. Primo: proprio come me quel tredicenne non aveva alcuna intenzione di mollare i suoi propositi, cosa che avrebbe reso la mia permanenza in quella casa quantomeno interessante. Secondo: evidentemente Dean non era l’unico a non volermi tra i piedi. Non avevo idea del perchè ce l’avessero tanto con me, quei due, nè di come avessi fatto a tirarmi addosso il loro astio in così poco tempo. Per cui, mi limitai a rimuovere ogni domanda dalla mia mente e chiesi ai bambini cos’avessero voglia di fare quel giorno.
Quando a pranzo mi ritrovai ricoperta di proiettili di mollicca di pane, lanciatemi attraverso cucchiai-catapulta, capii che la strada sarebbe stata ancora lunga e faticosa prima di poter ottenere un briciolo di rispetto da quelle pesti. Tappa fondamentale per raggiungere la meta sarebbe sicuramente stato armarmi di pazienza e cercar di instaurare un rapporto civile con il capobranc-, ehm... con il maggiore. E nel frattempo avrei dovuto trovare un modo qualunque per riuscire a tranquillizzare almeno un poco quelle canaglie. Dovevo solo capire quale fosse la loro criptonite.
La mia mente registrò a stento un piatto che veniva sollevato, spostato e curvato di 180°. La vaga consapevolezza di quell’azione riuscì però a risvegliare i miei sensi, facendomi sgranare gli occhi in tempo per vedere la scena. Beth rovesciò a terra la zuppa di fagioli, che abbracciò il pavimento di legno con un sonoro SPLASH.
Sospirai, afflitta. Non poteva essere vero.
Johnny rise, complimentandosi con la sorellina per la trovata.
Gli rivolsi un’ occhiata truce. “Vuoi la guerra, eh? Che guerra sia allora” mi alzai a prendere uno straccio.
Non so perchè lo dissi, lo feci e basta. Non c’era un motivo, non ci avevo riflettuto. Era una frase come tante che tra coetanei sarebbe risultata una vana provocazione e –soprattutto da una che poteva essere scambiata per una ragazzina- avrebbe fatto ridere.
Lui invece ghignò, sfrontato e combattivo.
Ma c’era un qualche demone dentro di loro? Il fantasma di un qualche ex stratega militare vendicativo e frustrato che aveva intenzione di sfruttare quei poveri corpicini innocenti per sfogare i suoi rimpianti su qualche povero malcapitato –ovvero me?
Dov’erano i Ghost Buster quando servivano?
Ovviamente successe l’ultima cosa che mi sarei mai aspettata.
“ADDOSSOOOOOOOOO!”
“YEEEEEEEEEEHH!”
Tutti e cinque, chi più rapido, chi con un po’ più di calma, mi saltarono letteralmente addosso, facendomi rovinare sul pavimento. Finii inevitabilmente ad abbracciare a mia volta le assi di legno con la zuppa rovesciata da Beth a farmi da materasso.
A quella vista Johnny scoppiò a ridere, soddisfatto e chiamò le truppe in ritirata, da bravo imperator. Mentre mi alzavo a sedere dovetti ammettere che almeno sembrava essere un avversario leale.
“Guardatela! Sembra Piper!” mi additò, facendo ridere i più piccoli.
Ripulii con un solo gesto rabbioso il pavimento, giusto perchè mentre cercavo qualcosa con cui pulirlo meglio il legno non inghiottisse tutta la brodaglia. Mi alzai e mi ripulii il collo, senza nemmeno guardare quel maligno tredicenne. “Che... sarebbe?”
“La scrofa di papà!” rispose Robin, scoppiando poi a ridere fragorosamente, subito imitato dai fratelli minori.
Johnny ghignò, lanciandomi un’ occhiata di sfida che bene o male intercettai.
Come non detto. Aveva ritirato le truppe solo per potermi colpire sul piano psicologico.
L’unico problema era che, nonostante fossi mentalmente piuttosto provata dalle esperienze degli ultimi giorni, non avevo intenzione di farmi distruggere dai giochetti psicologici di un neoadolescente ancora in fase di svezzamento.
Senza degnarmi di rispondergli iniziai a pulire il pavimento con i prodotti adatti. Diedi uno sguardo alla mia maglietta mentre i mostri riprendevano a mangiare. In effetti con quella sostanza marroncina addosso potevo assomigliare ad un suino coperto di fango, dovevo riconoscerlo. “Preferirei badare lei che voi” commentai, tra i denti, senza guardarli. “Di certo lei mi tratterebbe meglio. Qualunque animale lo farebbe”.
In un certo senso fui soddisfatta nel vedere che le bambine e Thom avevano messo il broncio quando mi rialzai.
“Noi non ti vogliamo qui” disse Johnny.
Nonostante fosse chiaro come il sole, mi sentii ferita nel sentirmelo dire così apertamente.  “Perchè?”
“Non abbiamo bisogno di te”.
Lo osservai in silenzio, mesta. Ci ero rimasta male, sì. Stavo pensando a cosa potessi rispondergli, quando un busto ansimante si affacciò dalla finestra nella cucina. Trattenni a stento un grido e non allontanai i bambini solo perchè questi salutarono allegramente il nuovo venuto.
“Ciao, Terrence”.
“Salve ragazzi” soffiò la figura di un ragazzo di più o meno la mia età, appoggiandosi al davanzale per riprendere fiato. Doveva aver corso molto.
Mi schiarii la voce. “Ciao” palesai la mia presenza, in caso non mi avesse notato. Era normale che le persone spuntassero alle finestre? A giudicare dalle espressioni annoiate dei bambini giudicai che, sì, era usuale. Sperdutolandia non finiva mai di stupirmi!
Il ragazzo annuì, prendendo tempo. Gli offrii un bicchier d’acqua, iniziando a preoccuparmi. Lui rifiutò e dopo poco riuscì finalmente a raddrizzarsi, il respiro più regolare. “Tu devi essere Pan”.
La mia fama mi precedeva. E anche solo il fatto di averne una mi sorprendeva parecchio. “Sì”.
Annuì. “Hai ricevuto una chiamata giù al saloon. Ha risposto Abe e mi ha mandato a dirti di andare da Ginger e richiamare prima di andare a casa” mi spiegò.
Una chiamata? Ahia. “Grazie. Sai da parte di chi era?”
Lui diede un’ alzate di spalle. “Una donna. E urlava parecchio. Abe non è stato troppo gentile con lei”.
Ma certo: mamma. “Come se mai lo fosse” commentai giusto per non rimanere in silenzio. In realtà stavo già iniziando a preoccuparmi per come sarebbe andata la nostra conversazione. Sarebbe stata l’ennesima litigata, sicuramente. Ed era l’ultima cosa di cui avevo bisogno in quel momento. “Grazie, dopo andrò a telefonare”.
“Figurati. Io sono Terrence” mi porse una mano, abbozzando un sorriso cortese.
“Piacere” gliela strinsi, mentre con l’altra reggevo ancora lo straccio impregnato di prodotto per pulire i pavimenti in legno. L’odore pungente del detersivo si intonava splendidamente con la mia t-shirt decorata a macchie di pasta e faglioli. Mentre in città chiunque avrebbe storto il naso con disprezzo a quella vista, il ragazzo ridacchiò, solidale. “I ragazzi ti danno da fare, eh?”
Sospirai, grata per la reazione positiva. “Parecchio, in effetti” sorrisi.
Johnny mise nuovamente in atto la cucchiaio-catapulta centrando però sulla fronte il nuovo arrivato, il quale scoppiò a ridere.
“Sarà così sempre, finchè non te ne andrai!” mi informò il diabolico tredicenne.
“Buono a sapersi” ribattei, sorridendo amaramente, mentre gli altri iniziavano a suonare energicamente piatti e bicchieri usando le posate come bacchette.
 
“Johnny, dai, ascoltami un attimo!”
“Lalalalalalalala!”
“LALALALALALALALALALALALALALALA!”
“Ora... SMETTETELA!” sbottai, battendo con forza un grosso libro di favole sul tavolo.
Per un attimo in casa cadde il silenzio, mentre i mostriciattoli mi guardavano, chi sorpreso, chi vagamente spaventato e chi compassionevole –cosa che mi diede un tantino sui nervi. Poi il mezzano, Robin, mi fece il dito medio e tutti ricominciarono a fare confusione come se niente fosse.
“Ok, ... tu!” afferrai per un braccio il maggiore. “Ascoltami un secondo!”
“Lasciami! Non toccarmi! CHIAMO LA POLIZIA!” strillò con la sua voce ancora da bambino, allontanandomi.
Ringraziai il cielo per l’assenza di telefoni nei paraggi e perchè quelli a cui ero stata affibbiata non fossero viziati e capricciosi bambini di città. Quelli di Sperdutolandia –o almeno quelli che erano toccati a me- erano solo decisi a mettermi in difficoltà con tutti i metodi a loro disposizione. Che consolazione.
“E va bene, va bene! Ma tu ascoltami un minuto!” Era dura sovrastare la cacofonia infernale provocate dalle grida di quei demonietti.
Johnny non dava segno di volermi ascoltare, ma non aveva nemmeno ricominciato ad urlare. Si limitava a darmi le spalle, le braccia incrociate in segno di protesta.
Il mio lavoro per quel giorno era ormai terminato, Hayley sarebbe tornata da un momento all’altro. Avevo deciso che il modo migliore per convivere con quei bambini era scendere a patti col nomico, nonostante sapessi che sarebbe stato difficile convincere il ‘capobranco’.
Scelsi quel momento sapendo che dopo poco me ne sarei andata e così il fratello maggiore avrebbe avuto tutto il tempo di pensarci su, imprecare, sfogare la rabbia ma non su di me o magari consultarsi con il resto della tribù. Non sapevo esattamente che tipo di ‘grandecapo’ fosse, magari credeva nella democrazia.
“Io non ho intenzione di andarmene, Johnny. Anche perchè non posso permettermelo. Voi, dal canto vostro, non mi volete qui. Io, dal mio, non voglio avere problemi. Non più del nel necessario, almeno. La miglior cosa da fare è...”
“Andartene!” sbottò, senza nemmeno voltarsi a guardarmi.
“...scendere a compromessi” lo corressi, paziente. Dove trovassi la pazienza dopo una giornata trascorsa con quei cinque, non lo sapevo.
“No.”
“Ascoltami, prima di parlare. Basterà che entrambi di impegnamo... almeno un po’.” Quanto poteva essere allettante per un tredicenne la prospettiva di impegnarsi? Decisamente poco.
“Scordatelo!”
Per l’appunto.
Il ragazzino afferrò la prima cosa che trovò e me la scagliò addosso. Caso volle che l’oggetto fosse il telecomando del televisore e che non mi scansai abbastanza in fretta per evitare che mi colpisse sulla spalla, dove il giorno seguente –per la cronaca- sarebbe spiccato un simpaticissimo livido violaceo.
“Hey, potevi farmi male, sai?!”
“Era quello lo scopo!” rise, correndo poi dall’altro lato della stanza a dirigere i cori spaccatimpani dei suoi fratelli minori.
Pensandosi bene, non avevano praticamente fatto altro che urlare da quando ero arrivata, il giorno prima. Ma che razza di bambini erano? Non giocavano mai? Non si consumavano le corde vocali? Non incappacano in abbassamenti di voce dopo aver strillato tutto il giorno?
Mi gettai su una poltrona, sconsolata e chiusi gli occhi per qualche istante. “Che ora è?”
“L’ora che era ieri a quest’ora!”
Risero.
“Molto divertente” commentai, sarcastica. Aprii gli occhi e contorsi il collo cercando di scorgere l’orologio nella stanza accanto.
Sospirai. Ancora dieci minuti di lavoro.
Quella giornata sembrava non aver intenzione di volgere al termine.
Quando finalmente tornò Hayley, mi affrettai verso il paese. L’ultima cosa che avevo voglia di fare era telefonare a mia madre, ma sapevo di non avere altra scelta. O meglio, ne avevo. Ma consideravo decisamente immorale fingere di non aver ricevuto il messaggio da Terrence.
Giunta al saloon non mi aspettavo certo di vedere Abraham corrermi incontro a braccia spalancate per abbracciarmi e chiedermi com’era andata al lavoro; ma nemmeno mi aspettavo di sentirmi dire da Ginger che il vecchio se ne era andato qualche minuto prima annunciando che mi sarei dovuta arrangiare per tornare a casa.
Era logico, no? Tanto casa sua distava solo quindici chilometri dal paese. Sarebbe stata una passeggiata ristoratrice, dopo la fatica di una giornata di lavoro circondata da pestiferi mocciosi urlanti. Senza contare che avrebbe fatto buio prima che potessi giungere alla casa. Meglio, no? Avrei persino preso un po’ di fresco.
Nonostante tutte le ‘belle parole’ che mi erano venute in mente alla notizia, preferii evitare il momento insulti-e-imprecazioni. Sarebbe stato uno spreco di energia, che sarebbe senz’altro risultate utili durante la piacevole camminata in mezzo al nulla che mi attendeva.
Mi limitai a chiedere a Ginger di usare il telefono e, dopo una serie di sbuffi e sospiri, composi il numero.
"Pronto?"
"Heylà, Josh".
"A-ah! Sei nei guai, sfigata!"
Sbuffai. "Sì, sono contenta anche io di sentirti, affettuoso fratello minore" soffiai, sarcastica.
Lui rise. "Mammaaaaaa! C'è la Piaga al telefonooo!" gridò, sbattendo la cornetta sul mobiletto e lasciandomi ad aspettare senza nemmeno un saluto. Dopo avermi strillato in un orecchio, sia chiaro.
Forse il mio problema era che mi aspettavo troppo dalle persone.
"Pronto?"
"Ciao, mamma" salutai, cauta.
"TU! Razza di ingrata irresponsabile! Per quale strano motivo tieni spento il telefono, si può sapere?!" strillò sull'orlo di una crisi isterica. 
Home, sweet home! 
"Non c'è campo, veramente. Da nessuna parte" la corressi, cercando di mantenere la calma. Ero comunque in un luogo pubblico, non sarebbe stato il massimo mettersi a strillare come un' adolescente in perenne conflitto con sua madre. Non tanto perchè non fossi in perenne conflitto con lei, ma poichè ormai avevo diciotto anni suonati e essendo maggiorenne non mi consideravo più in fase adolescenziale. "E, oh, non abbiamo un telefono a casa. Non ce n'è nessuno nel raggio di quindici chilometri" le spiegai, con un tono che era evidentemente volto a farle capire che non ero io l'irresponsabile, in quanto era stata lei a spedirmi a Sperdutolandia come un pacco postale sul quale non aveva nemmeno stampato il timbro 'fragile'. Tecnicamente era stato papà, sì, ma lei avrebbe potuto benissimo opporsi. E non l'aveva fatto. 
Poi, improvvisamente, un illuminazione. O meglio, un fulmine a ciel sereno. "Hey, un attimo! Perchè Joshua è a casa?!"
"Io e George abbiamo deciso di aspettare che sia maggiorenne prima di lasciarlo partire. Ad ogni modo non azzardarti a cambiare discorso, ragazzina! Con che faccia tosta hai osato tenermi in sospeso tutto questo tempo?!".
Ah, ed ero io quella che cambiava discorso! 
Quella sottospecie di cretino era ancora a casa! E potevo scommetterci il mio mp3 -e considerate il fatto che già prima di giungere a Sperdutolandia non lo abbandonavo mai un attimo e ora era rimasto l'unico modo per staccare la spina- che ci sarebbe rimasto. Sempre. Finchè non fosse stato lui stesso a deciderlo. 
Per l’ennesima volta ero consapevole di essere stata l’unica a subire le conseguenze delle azioni di entrambi. Per l’ennesima volta, sarei stata l’unica a essere punita, anche per lui.
Mi passai una mano tra i capelli, cercando di non sclerare. "Ho avuto da fare" le risposi, fredda.
"Come no. Però hai trovato il tempo per telefonare ad Emily!" mi accusò, con voce così acuta che temetti mi avrebbe perforato un timpano. La cosa mi infastidiva molto. Quella donna era totalmente priva di... scrupoli? Senso di maternità? Comprensione? Tutte e tre. Non mi capiva, era inutile. Era la persona che sulla faccia della terra riusciva minormente a interpretarmi. Era frustrante, e tanto. 
Ero stanca. Di tutto, di tutti.
Ero delusa.
"Per le persone che tengono a me trovo sempre tempo" sputai, acida.
Come era scontato che fosse, mia madre non fu contenta del mio commento. Iniziò a strillare nella cornetta, così forte che Ginger venne a chiedermi se fosse tutto ok. Le risposi di sì con uno sconsolato sorriso di cortesia, mentre mia madre continuava a gridare la sua chiassosa protesta contro la mia irriverenza e la mia ingratitudine.
Riattaccai, stufa, mentre lei ancora urlava, senza dirle una parola. Sapevo che il giorno seguente ne avrei subito le conseguenze, ma in quel momento ero troppo scossa per occuparmene. Pagai, ringraziai e salutai Ginger, e uscii senza curarmi di ciò che mi accadeva attorno, andando così a sbattere contro qualcuno di grande e grosso. O comunque più di me.
"Hey, ci si rivede!"
Lo guardai, accigliata e confusa. "Kameron, giusto?"
"Proprio io!" rispose, sereno. "Come te la passi, ragazza di città?"
Sospirai, sforzandomi di sorridere. In qualche modo sembrava che gli interessasse sul serio la risposta a quella domanda. "Potrebbe andare decisamente meglio." ammisi, sincera e un po' sconsolata.
Lui sorrise, solidale. "Vuoi che ti offra un caffè?"
Sinceramente dubitavo che la caffeina mi avrebbe fatto bene, scossa com'ero. Tuttavia, il suo sorriso sembrava sincero e mi sembrava un peccato rifiutare la compagnia di una delle poche –due, in effetti- persone che non mi avevano trattata con freddezza o disinteresse da quando ero in quel posto. Pochi giorni, che tuttavia sembravano settimane.
"Che ore sono?" mi informai.
"Le sette." rispose, dopo aver lanciato un' occhiata all'orologio a muro appeso sopra il bancone.
Ottimo. Cioè, non tanto: non sarei mai arrivata a casa del nonno in tempo per la cena. Non che avessi mai avuto di arrivare in tempo, visto e considerato che quel vecchio scorbutico mi aveva lasciato a piedi.
Il lato positivo era che non avevo più nulla da perdere, restando.
"No, grazie. Ma ti faccio volentieri compagnia" dissi, cortesemente.
Lui sorrise e mi guidò verso un tavolo, salutando i presenti uno ciascuno, per nome. 
Era stranamente piacevole passare del tempo qualcuno che sapeva di ‘amico’, nonostante fosse sicuramente troppo presto per considerare tale un ragazzo incrociato due volte. Tuttavia, in entrambe le occasioni, era capitato a fagiolo, salvandomi da me stessa e dalla lunga strada che separava la fattoria di Abraham dal paese. Mi erano sempre piaciute le coincidenze. Le trovavo divertenti.

23 aprile 2011

Non lo sopporti.

Non puoi farcela Hermione, non ci riuscirai mai.
Non lo sopporti, è il tuo esatto contrario.
Tu una Grifondoro, lui un Serpeverde.
Tu nata da genitori Babbani; lui da una famiglia di maghi com’è sempre attento a ricordarti.
Tu sei umile, educata, affidabile, gentile con tutti –o almeno ci provi.
Lui è altezzoso, superbo, sprezzante, ... una vera carogna.
Tu sempre attenta a ciò che fai, e non offendere nessuno; lui che agisce senza preoccuparsi delle conseguenze delle sue azioni.
Lo vedi, senti la sua voce, le sue solite parole sprezzanti che ti scatenano l’inferno dentro. Non ti fermi a soppesarle, non ti importa. Forse non le ascolti nemmeno.
Non hai voglia di comportarti bene, questa volta, Hermione. Sei stanca, esterrefatta. Una volta tanto vuoi abbandonarti ai tuoi istinti.
Ti avvicini a lui a grandi passi, rapida, prima che Harry o Ron possano metabolizzare ciò che ha detto, e lo fai, sotto lo sguardo esterrefatto e stupito di tutti.
SCIAFF.
- Non osare mai più dire che Hagrid è patetico, tu, mostro... tu, razza di brutto...  -
Le cinque dita della tua mano gli hanno lasciato un segno rosso sulla guancia pallida.
Hai usato tutta la tua forza, tutta la rabbia repressa negli ultimi tre anni. La mano ti brucia, ma non ti importa. Quello che ti interessa è che la sua faccia bruci altrettanto. Se lo merita.
Ha mentito e ora Hagrid è nei guai e Fierobecco probabilmente verrà giustiziato.
Ha preso in giro i tuoi migliori amici ad ogni occasione che gli si è presentata.
Ha sempre fatto la spia, facendovi finire in punizione.
Ti ha chiamata sudicia Mezzosangue.
- Hermione! –
- Vai via, Ron! – non vuoi sentire niente tranne il sangue che ti pulsa nelle vene coprendo il suono della tua scioccata coscienza; borbotta, irritata, ma il tuo lato da leone –da Grifondoro-la fa tacere con un ruggito alla vista di Malfoy, Tiger e Goyle che scappano dalla tua furia.
- Hermione! – ripete Ron, con un misto di ammirazione e sorpresa nella voce.
Ti volti a guardare i tuoi amici e solo davanti alle loro espressioni ti rendi conto realmente di ciò che hai fatto.
Trattieni il fiato qualche secondo, loro non se ne accorgono.
Poi riprendi a respirare, soddisfatta di te stessa.
Un forte orgoglio ti pervade. Il leone dentro di te ruggisce fiero e zittisce quella vocetta chiamata senso di colpa che stava cercando di prendere timidamente parola.
Non lo sopporti, Hermione.
Non potrai mai sopportarlo. È il tuo esatto opposto, la tua nemesi.




Nonostante avessi detto che non l'avrei fatto, quella che ho postato è evidentemente una fan fiction. Ho pensato che nel pubblicarne alcune, specificando che non sono scritte e scopo di lucro e personaggi e luoghi appartengono a J.K.Rowling, non alla sottoscritta, non ci fosse nulla di male.
E' ambientata al terzo anno del trio protagonista quando appunto Hermione schiaffeggia Draco Malfoy.
E' stata scritta prevalentemente per chiarire quello che secondo me è l'unico rapporto possibile tra Draco e Hermione (chi è pratico del mondo delle fan fiction  può intuire perchè mia sia posta il problema).
Yvaine