Di nuovo il sole si infrange nel suolo della notte, il viola rimpiange il giorno che è stato, e si accascia nell'infinità del celato. Mi chiedo perchè Dio si sia impegnato tanto a disegnare il tramonto così nostalgico...
In principio fu il cervo... Dio ha disegnato il cervo e se ne è vantato all'inizio del Vangelo. Dio è un vanitoso perfettino perfezionista, la compiacenza dell'artista si riscontra in tutto il creato.
Tanto più l'opinione ha persistito nel distinguere la felicità dalla tristezza che i colori della realtà si sono spenti in un innocente candore. Innocente, come può non essere innocente un errore a cui siamo abituati? Vergogna, dov'è il tuo rossore? Tanto più vogliamo essere felici e non lo siamo, tanto più il desiderio, la passione smorzata, che ha nome dolore, ci prende e non riusciamo a controllarla. Non è creazione celeste anche il dolore? Quando Lucifero fu colpito da Gabriele, davvero per la prima volta comprese il dolore. Il dolore è giusto, si ha per uno sbaglio. Il dolore come segnale di infelicità... Ma cos'è l'infelicità? Non-felicità? E cos'è la felicità? Pensiamo tanto a come rincorrere la felicità più serena ed il piacere più voluttuoso che non sappiamo cos'è la felicità.
C'è un'ape che se posa
su un bottone di rosa:
lo succhia e se ne va…
Tutto sommato, la felicità
è una piccola cosa.
(Trilussa, Felicità)
Ma cos'è la felicità? Se lo potessimo enunciare, la realtà sarebbe corrispondenza fra proposizione e dato di fatto. Possiamo razionalizzare l'irrazionabile? Certo se capissimo cos'è la felicità, ottenuta una formula per la felicità basterebbe trovare anche il modo per utilizzarla e sarebbe facile arrivare ad una felicità illimitata... Io me lo immagino Socrate, che spiega perchè usa l'ironia per mettere in ridicolo i superbi: 'Non riusciamo a dimostrare che quei mangiamerda di Parmenide e Zenone hanno torto, e ci mettiamo a dire che sappiamo tutto di tutto?? Ma come cazz..'' Focoso, il filosofo..
Per Aristotele la massima felicità era della Divinità, perchè avente intelletto. Eh, adesso chi non è andato a scuola è triste... Ma forse chi non è andato a scuola, l'ignorante, aveva compreso la felicità irrazionalmente (che forse è la via più facile) ed ha imparato a viverla, spensieratamente. Due le vie che possiamo intraprendere: una è libera da ostacoli, ma l'orizzonte si fonde con l'aria. La seconda è densa di tranelli, e infinita la strada per il traguardo.
Odiare, amare... Si ama ciò che non si odia? Non si può amare e odiare contemporaneamente? Ma non come pensava Catullo, desiderare sessualmente ed odiare. Amare significa legarsi, legarsi ad un'anima, ad un corpo... Qui l'errore di Platone: il corpo non ha significato. Come se, in procinto di innamorarci, non cominciassimo dal corpo. Il corpo, meraviglioso scrigno di curve e colori.
Possiamo odiare un tramonto, il viso più bello, la perfezione visiva? Platone le odiava. Ma le aveva amate? Si dice che, prima, Platone fosse tragediografo. Poco c'è di vero in questo, invenzioni del popolo bue... Ma fingiamo sia vero. Prima di bruciare le sue opere, invocando il fuoco del Dio Efesto, ascoltando di lontano la lezione di Socrate, Platone aveva ricercato la perfezione nella Tragedia, il mito, eroe ferito, arricchito della saggezza della filosofia. I Greci ricercavano la perfezione, ma sapevano che l'ibris, lo slancio verso l'imperfezione, la superbia, intrinseche dell'uomo, lo avrebbero allontanato, e anche se la Verità si fosse rivelata loro nuda, e l'avessero contemplata per mezz'ora, i Greci sapevano che non l'avrebbero compresa a pieno. Nessuno coglie la tragicità di questa ricerca: casomai fossero riusciti a trovarla, l'ibris li avrebbe condotti oltre e la Necessità li avrebbe schiantati al suolo, come delle mosche schiacciate su un tavolino. Forse Platone aveva ricercato prima la Verità nei suoi lati più 'estetici', e qui l'odio per il pathos della Tragedia, per la potenza dialettica dei mirabili sofisti, del maestro Gorgia.. Forse Platone odiava la Tragedia nella proporzione in cui l'aveva amata, ma non come amore dettato dalla semplice passione: Amore come eros, come slancio verso la perfezione. Odiamo nella proporzione in cui siamo delusi, amiamo in base alle nostre aspettative.
Forse Platone ha voluto 'cambiare via', radicalmente. Non era poi così malvagio, aveva le sue ragioni...
Semplici sono le donne nella misura in cui disprezzano. Amano a priori, e, se deluse, odiano di conseguenza. Il disprezzo causato dalle futilità è futile in ugual modo, e scompare alla prima scemenza che fa loro cambiare idea. L'uomo, invece, è più mite, e difficilmente si concentra troppo su molte persone. Ne preferisce poche, una delle principali è quasi sempre se stesso. E perchè odiano? Odiano ciò che non è concepito dalla loro mente, e non è solo delusione: è anche sorpresa non voluta, è rabbia violenta. Frammiste nei cuori le emozioni, spinte nei precordi dai passi che percorriamo nella nostra 'via'. E cosa c'è alla fine della via?
Anassimandro credeva che ci fosse l'infinito. Abbiamo un solo scritto di Anassimandro, risalente al 500 a.C, successivo alla scrittura della Genesi ebraica (1000 a.C.) e alle religioni orfiche (1500 a.C.). Anassimandro prende il concetto di peccato originale, usato probabilmente dagli orfici per giustificare lo stato di inferiorità dei messeni, esteso nel suo significato dalla religione ebraica, e lo innalza a insegnamento puramente filosofico. Per Anassimandro le anime si staccano dall'infinito ed entrano nel mondo: così pagano il fio di un peccato originale. Entrano in un mondo finito, quindi limitato, quindi contrapposto, quindi in lotta, quindi violento. Il Dolore è una giusta espiazione, e solo attraverso la morte si ritorna all'infinito di partenza. Una visione simile, in certi aspetti, ce la dà Platone: le anime vengono dall'Iperuranio, ma dopo aver vissuto fra le divinità e le Idee viaggiano nel mondo e dopo molte metempsicosi si liberano dalla prigione del corpo. Ma per Platone il Dolore è da allontare, per Anassimandro (o almeno per il suo unico scritto tramandatoci dal platonista Simplicio) il Dolore è necessario, è equo. Forse è anche più facile 'il dolore ce lo meritiamo, prendiamolo e zitti'. Forse è giusto, però. Di certo non è una conclusione che sconfigge il Dolore, ma almeno lo argina, si vede il Dolore con occhi diversi quando ci si presenta.
Gli uomini cominciarono ad amare la conoscenza quando conobbero Thauma. Aristotele si riferisce ai presocratici. In effetti Talete cominciò a predicare il sapere assoluto, la conoscenza del proprio Io, l'archè come strada per la Verità, sicuramente non perchè viveva felice, ma perchè aveva conosciuto Thauma. E Thauma non è la meraviglia, non solo la meraviglia, ma anche la paura, paura per il Dolore, paura per la Morte. E conoscere il Dolore non significa porre una fine, ma vederlo con occhi diversi. Anassimandro dice che la Morte non è cattiva, ma addirittura ci indirizza verso l'infinito. Anassimene amplia Talete e comincia sul serio lo studio della fisica. Con Eraclìto si perde l'archè come strumento basilare per la ricerca della Verità, che, anzichè riunita in un unico elemento fermo, viene vista nel fuoco. Eraclito capisce il movimento che scuote l'uomo, il cambiamento costante, e ne rimane affascinato. Non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume, tutto scorre, tutto è mobile. Pure Montale vedrà nel se stesso della gioventù una persona che non era lui, Pirandello si chiederà chi siamo noi (e quanti siamo noi), come forse si era chiesto l'oscuro, enigmatico Eraclìto, guardando il passato. Sarebbe difficile, per il lettore, chiedersi se è la stessa persona che era ieri, o prima di aver letto questo scritto. A bloccare Eraclìto è il terribile e venerando Parmenide (così lo chiama Platone). Comincia con la tautologia per eccellenza 'L'essere è e non può non essere, il non essere è e non può essere', e la analizza. Arriva perfino a dire che il mondo è un'illusione; con tesi paradossali, ma Platone impiegherà tutta una vita a smontarle. Zenone poi aveva messo in crisi i filosofi ateniesi ai tempi di Socrate con i suoi paradossi sul movimento, che i cinici vedono come passatempi logici, gli altri rimangono assaliti dal dubbio: capisco davvero? Socrate invece non aveva dubbi: lui sapeva di non sapere, ma era convinto anche che la virtù fosse insegnabile. Thauma. Chi scrisse e disse i miti provò a dare una spiegazione facile e semplice ai grandi interrogativi dell'uomo. Ma può l'uomo accontentarsi di una favola? Thauma, la paura per il Dolore, paura per la Morte... il tramonto, Thauma...
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