29 dicembre 2010

Cows and jeans. 5

Ero sotto il getto tiepido dell'acqua calda, nella speranza di riuscire a rilassare le mie povera membra stanche. 
Pensando quelle parole mi resi conto di somigliare ad una vecchietta brontolona, ma dopo la giornata che avevo trascorso ne avevo tutto il diritto. Ero giunta alla conclusione che la mia permanenza a Sperdutolandia -da questo momento il nome ufficiale per quel luogo del caz- cavolo- sarebbe stata degna di quella dei dannati nell'Inferno di Dante Alighieri.
Come mai tutto questo pessimismo? Alla fine l'avevo conosciuto. Mio nonno, il vecchio Abraham -Abe- Fletcher. 
Poco dopo essermi messa a letto, mi ero rialzata. La tensione accumulata era troppa e non ero riuscita a chiudere occhio, per cui avevo deciso di mettermi a spolverare quella casa che sarebbe stata la mia per un bel po' di tempo. 
Mentre con uno straccio toglievo la polvere dai quadri nell'entrata , la porta si era spalancata e lui era entrato.
I nostri sguardi si erano incrociati e il cuore aveva iniziato a battermi fortissimo, terrorizzata da ciò che lui avrebbe potuto pensare di me. Non ero in grado di parlare; non avevo la minima idea di cosa dire, fare o pensare, così ero rimasta impalata sul posto. Avevo abbassato lo sguardo, spostato lentamente le mani dietro la schiena e avevo iniziato a dondolare sul posto, nel più completo imbarazzo. 
Abraham mi fissava, silenzioso. Sul suo volto si erano alternate diverse emozioni: prima sorpresa, poi confusione. Seguite da irritazione e rimprovero. 
"MCDONNEL" aveva rotto il silenzio all'improvviso con un grido che mi aveva fatto trasalire e alzare spaventata lo sguardo. "Quante volte ti ho detto di non portare le tue amichette in casa mia?!"
Quelle parole mi avevano colmata della più profonda delusione in un istante.
Non sapeva nemmeno che ero lì.
Dean si affacciò alle scale, dal piano di sopra mentre se la rideva sotto i baffi. "Ad essere sinceri, nemmeno una Abe" ribatté, divertito.
"Ed evidentemente ho fatto male" brontolò l'uomo spostando lo sguardo di rimprovero su di me.
A quel punto, rossa di indignazione, non ero riuscita a tenere a freno la lingua. "Io non sono un'amica di quel tizio" avevo precisato, frustrata. "Sono tua nipote!" avevo sputato con tutta la rabbia che mi stava salendo dentro, ma a voce non troppo alta.
"Oh" aveva borbottato, sgranando leggermente gli occhi. Dopodiché si era lasciato cogliere da un forte e palpabile imbarazzo che tuttavia non aveva fatto che aumentare la mia irritazione. Era rimasto lì impalato ad osservarmi, cercando più volte di dire qualcosa ma bloccandosi alla vista della mia rabbia.
Non avevo parole, sentivo solo una profonda delusione. In quel momento avrei pagato qualsiasi cifra per potermi voltare e tornare a casa mia, dove avrei dovuto sì sopportare i rimproveri di mia madre e George e gli insulti e le derisioni di Joshua, ma almeno ci sarebbe stato mio padre e ci sarebbe stata Emily, le uniche persone al mondo a cui importasse qualcosa di me.
"Vorrei andare a farmi una doccia" avevo detto, fredda, dopo aver respirato a fondo. Non potevo andarmene, tanto valeva evitare quei pensieri e adattarsi alla situazione. Come al solito.
Dean aveva ghignato, pregustando il sapore di ciò che Abraham stava per dirmi e la mia conseguente espressione.
L'uomo aveva annuito, mentre cercava di mascherare l'imbarazzo con una risoluta severità che probabilmente doveva contraddistinguerlo in normali circostanze. "Al massimo dieci minuti e l'acqua più fredda possibile"
A quel punto mi ero lasciata sfuggire un "Cosa!?". Cosa pensava potessi farmene di una doccia fredda, quel vecchio rimbambito?! E va bene, era estate, era Luglio! Ma io avevo passato tutta la mattina in viaggio su un lurido treno e ora ero in una casa polverosa e avevo i nervi così tesi che avrebbero potuto spezzarsi da un momento all'altro! 
"Regola numero uno: se vuoi rimanere qua, devi darti da fare. Regola numero due: devi guadagnarti con dei lavori extra ogni lusso che ti prendi. Numero tre: la colazione è alle sei, il pranzo alle dodici e la cena alle sette. Ritarda a tavola e salti il pasto. Numero quattro: ognuno sistema, riordina e pulisce ciò che usa."
Mi ero sforzata di non mandarlo a quel paese, e avevo annuito, la frustrazione alle stelle. "Posso fare una domanda?" avevo aggiunto, la voce traboccante sarcasmo.
"Regola numero cinque: si fa conversazione a tavola, per il resto si lavora. Chiaro?"
Sgranai gli occhi e mi lasciai sfuggire uno sbuffo di indignazione. Dov'ero finita, in un campus militare?! Avevo annuito, rendendomi conto dell'assurdità della situazione. Tuttavia la comicità velata di tutto ciò non era decisamente abbastanza per migliorare il mio umore. Anzi, lo stava facendo peggiorare: mi sentivo persino presa in giro dalla sorte. "Ottimo.C'è altro che dovrei sapere?" non avendo ottenuto risposta, avevo sbuffato. "Bene, ora metto io una regola. Pregherei che il biondino qui presente stesse lontano dal bagno per i prossimi dieci minuti. Credo sia il minimo."
Dean rise. "Ti concedo quindici minuti, principessina." aveva commentato, irrisorio. "poi verrò ad accoglierti!"
Lo avevo fulminato con lo sguardo, non ero decisamente in vena di certe cretinate, al contrario suo. 
"Non dire fesserie, McDonnel" era sbottato Abraham. "Ha ragione..." mi aveva guardato interrogativo, in attesa di un completamento per la frase.
Sentii il cuore cadere nel vuoto per andare ad infrangersi sul pavimento.
Non sapeva nemmeno il mio nome.
Avevo una voglia assurda di scoppiare a piangere e andarmene lontano da lì per non tornare mai più. Era il mio unico parente nel raggio di chilometri e chilometri, dannazione! Era mio nonno! E non sapeva nemmeno come mi chiamassi! 
Avevo stretto i pugni forte, fino a farmi sbiancarmi le nocche e cercando di rispedire le lacrime indietro avevo risposto "Pan" con astio. Avevo bisogno di Emily, subito. Sentivo un bisogno disumano di piangere e frignare come una bambina. Mi sentivo dannatamente stupida, perchè ci avevo anche sperato! Mi ero illusa! Avevo sperato di poter trovare un posto adatto a me, avevo sperato che a quel tizio fregasse qualcosa di me! Speravo di trovare qualcuno che potesse capirmi lì, ma evidentemente Lily era l'unica persona al mondo in grado di farlo.
Gli occhi mi bruciavano terribilmente e in gola avevo un groppo così grosso che faticavo a deglutire la saliva e a respirare.
"Pan. Ha ragione Pan. Vai a fare da mangiare, tu e non mettere piede al piano di sopra finché non ti avrà detto di essere presentabile. E tu sbrigati, fra poco più di mezz'ora si cena." aveva concluso, voltandosi per andare nel salotto.
Ed ora ero sotto il getto tiepido dell'acqua. Non avevo pianto una sola lacrima, mi ero sforzata di non farlo. La doccia stava risanando leggermente il mio umore sciogliendo la tensione e la rabbia, tuttavia la delusione era troppo forte per essere lavata via.
Sentivo un bisogno irrefrenabile di un abbraccio. Avevo bisogno di affetto. Mi avevano cacciata dal mio orribile mondo ed ero capitata in uno che era anche peggio, in cui non c'era assolutamente nessuno a cui importasse di me.
Il groppo in gola era ancora lì, deciso a rimanerci ancora a lungo. Io odiavo quella sensazione di oppressione che mi impediva di respirare bene e decisi che l'avrei ignorato finchè non se ne fosse andato. 
Dicono che se una cosa non uccide fortifica. Probabilmente anche quell'ennesima delusione che avevo ricevuto nel corso della mia vita mi avrebbe resa più forte una volta per tutte. 
Uscii dalla doccia e mi avvolsi nel mio vecchio accappatoio arancione. Non vedevo l'ora di poter andarmene a dormire. 
Guardai l'orologio nella mia camera e mi accorsi di aver fatto una doccia di quindici minuti. Non l'avevo fatto di proposito, ma decisi di prenderla come una rivincita principale. Mi vestii in fretta e scesi in cucina, i capelli ancora bagnati.
"Suppongo di non poter usare il phon" commentai acida, entrando nella stanza. 
Dean diede un'alzata di spalle. "Certo che puoi. Ma noi non ce l'abbiamo." 
Sospirai, esasperata. "E va bene" se la giornata aveva deciso di andare nel peggiore dei modi, le avrei lasciato avere il suo corso, remissiva. Era inutile cercare di combattere a quel punto della giornata, dopo un viaggio piuttosto lungo, degli incontri difficili, lavori domestici e troppe emozioni negative. Avrei semplicemente aspettato che il giorno volgesse al termine e me ne sarei andata a dormire nella speranza che la mattina seguente sarebbe iniziata leggermente meglio.
Decisi di aiutare Dean apparecchiando la tavola. Durante la mia esplorazione pomeridiana avevo scoperto dove stavano quasi tutte le cose, e grazie alla mia memoria fotografica niente male, ricordavo ancora dove stavano. Misi la tovaglia e iniziai a prendere le stoviglie da sistemare. "Mio nonno ha detto che ti chiami McDonnel, giusto?" chiesi, cercando di intavolare una conversazione civile.
Lui grugnì un 'sì' mentre rimestava con un mestolo dentro una pentola.
Quel cognome l'avevo già sentito quel giorno. Forse... "...per caso sei il fratello di- ?"
Lui sbuffò e si voltò a fulminarmi con lo sguardo, battendo un pugno sul mobile della cucina. "Sì, sono il fratello di Matthew" sbottò con rabbia.
trasalii, spaventata dal suo scatto d'ira. Che cavolo prendeva pure a lui? Era schizofrenico?! Ci mancava solo quella! Forse, ad ogni modo, dovevo essermi sbagliata. "E chi è? Pensavo fossi il fratello di Agatha. Mi sembra di ricordare che anche lei si chiami McDon-"
"Certo che è mia sorella, principessina. Quanti McDonnel vuoi che ci siano in paese?!" sbuffò, tornando a preparare la cena, senza abbandonare la rabbia.
"Come diavolo pensi che possa saperlo?!" scoppiai, portando via i piatti puliti. Li posai sulla tavola con rabbia, facendoli risuonare nel silenzio della stanza.
"Regola numero sei: chi rompe paga. Regola numero sette: chi trasgredisce alle regole salta un pasto a sua scelta." Abraham era comparso nella stanza e con aria severa mi rimproverò con lo sguardo per aver battuto le stoviglie sul tavolo. Doveva essere una caratteristica dei Fletcher organizzare secondo un elenco di punti la loro vita, notai con irritazione e una buona dose di ironia.  "Hai passato troppo tempo sotto la doccia" mi comunicò, fissandomi inespressivo.
'E CHI SE NE FREGA!' urlava la mia mente, mentre il groppo che avevo in gola si ingrandiva facendomi faticare ancor più a respirare. Era possibile che qualunque cosa facessi quella sera volgesse a mio sfavore? Persino cercare di far conversazione con Dean aveva portato alla sua furia! "Hai intenzione di farmi saltare la cena? Se ci tieni a saperlo ho già saltato il pranzo, quindi mi sono già punita" risposi con irriverenza, frustrata. 
"No, non ho intenzione di farlo. Non oggi. Devi ancora abituarti alle regole, quindi per oggi ti risparmierò la punizione."
Sospirai. Almeno quella era andata bene. "Finisci di apparecchiare, tra cinque minuti deve essere in tavola"
Che diavolo aveva nel cervello quel vecchio? Un orologio svizzero?! Era forse un parente del Bianconiglio, fissato con gli orari com'era?!
Finii di apparecchiare in silenzio, cercando di far sparire la mia tristezza, o quantomeno di arginarla. Non ci riuscii e quando finii di mangiare mi offrii di lavare io i piatti. Abraham aveva risposto con un "Regola numero quattro: ognuno..."
"Sì, sì, ognuno pulisce, riordina, sistema ciò che usa. Me lo ricordo. Cercavo solo di essere gentile" lo interruppi in un sussurro, mentre andavo al lavabo per lavare le mie stoviglia. 
Non appena finii lasciai il posto a Dean per lavare il suo piatto e decisi di andare a coricarmi il prima possibile. L'unica cosa che volevo era che quella giornata finisse. Ero stanca fisicamente, ma soprattutto psicologicamente.
Prima di andare a dormire dovevo fare una cosa, però. "Dovrei fare una telefonata" comunicai a mezza voce. Ero sicura che la mia rassegnazione mista a delusione fosse evidente sul mio volto. Non ero mai stata troppo brava a nascondere i miei sentimenti, ma non era mai stato un problema: a nessuno era mai importato molto di quelli. Eccezion fatta per Emily e papà. "Userei il cellulare, ma non c'è campo." O meglio, c'erano troppi campi, ma nessuno serviva alla linea telefonica.
Abraham annuì. "Domani mattina"
"Domani?"
"Non mi pare il momento adatto per andare in paese. E poi il bar sta per chiudere."
In paese? Questo significava che non c'era un telefono in quella casa!
La mia espressione scioccata fece sghignazzare Dean. Quel ragazzo si divertiva come un matto alle mie spalle, e senza preoccuparsi di non darlo a vedere, per giunta. "Va bene" cercai di darmi un contegno. "Quindi fino a domani mattina i miei non sapranno se sono viva, morta o dispersa, suppongo". 
Non che gliene importasse qualcosa, in fondo. Altrimenti non mi avrebbero spedita laggiù nelle mani di un uomo che non sapeva nemmeno il mio nome.
"Non credo sia un problema per loro aspettare fino a domani mattina"
"Già. In effetti lo credo anche io" brontolai, abbassando lo sguardo. Avrei voluto chiedere se avessi dovuto pagare la telefonata, ma era ovvio. Era un telefono pubblico, sicuramente, o comunque, essendo in un bar, supposi che il barista avrebbe dovuto traerne qualche profitto.
"Buona notte" borbottai, uscendo dalla sala.
Mio nonno mi rivolse un grugnito di saluto e Dean non rispose.
L'educazione non era il loro forte.
Nemmeno l'umanità doveva esserlo o avrebbero capito come diavolo potevo sentirmi in una situazione simile.
Chiusi la porta della mia camera e mi cambiai in fretta, poi mi raggomitolai sotto il lenzuolo che al momento di fare il letto avevo sperato il nonno avesse preparato per me. Molto probabilmente invece lo aveva solo dimenticato lì dopo averlo lavato. Sospirai e affondai il volto nel cuscino. Avevo bisogno di Emily, urgentemente. Ma avrei aspettato l'indomani.
Probabilmente avrei chiamato lei invece che mia madre, George o papà. Sarebbe stata la mia migliore amica a spiegar loro la situazione, tanto non mi avrebbero ascoltato. I primi due erano troppo presi dal rammaricarsi per come non ero e il secondo troppo deluso dal mio comportamento per potermi ascoltare. Magari le parole della buona e dolce Emily Gregor avrebbero invece fatto qualche effetto. Non sapevo esattamente quale effetto volevo avessero le parole di Lily sulla mia famiglia. Non sapevo cosa volevo. Volevo solo dormire in quel momento. I miei pensieri erano sconnessi e senza un filo logico. Erano i pensieri di una ragazza che non voleva piangere, voleva prendere in mano la sua vita e far vedere al mondo di che pasta era fatta, senza però che nemmeno lei lo sapesse.

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