26 marzo 2011

Antigone al liceo, capitolo quinto

Vorrete scusarmi se comincio una serie di racconti partendo dal quinto capitolo.
Frequento un corso di scrittura creativa organizzato dal Liceo, dal professor Antolini e dal Gianfranco Lauretano, anche vicedirettore della rivista ClanDestino.
Per incitare gli studenti a scrivere, Lauretano ci ha proposto due trame di romanzi da sviluppare, e quella che ho scelto io era l' 'Antigone al Liceo'. In pratica abbiamo cercato di contemporaneizzare la tragedia greca di Sofocle, immaginandoci la trama e le varie scene.
La vicenda parla, in breve, di un'amica di Antigone muore in un incidente d'auto, e il liceo è in tumulto per questa sua scomparsa.
Si sa però che la ragazza ha lasciato un diario in una certa aula, ma il preside ha deciso di vietare l'accesso per calmare quest'apprensione. Per il resto tutto se la si gioca sulla morale dell'Antigone: le leggi degli Dei (parafrasando, le leggi del cuore) sono più alte delle leggi degli uomini.
La trama è molto spoglia, me ne rendo conto, ma è la trama che ci si aspetta da un corso di scrittura creativa.
Non vi anticipo nient'altro :)
Buona lettura, grazie per l'attenzione :)



Occhi fissi sulla scrivania, una mano sulla tempia.
Il Preside così si interrogava sulla moralità delle sue azioni. Una vita spesa al servizio dell'istruzione, dei giovani che bene lo ricompensavano abbondantemente nei voti e, nei limiti, nell'affetto (il lettore ben capirà che tipo di rapporto si può avere con un Preside).
Così quella che era la pietra miliare di tutto un liceo, un punto di riferimento, si accigliava, rimuginava, indagava se stesso: non sapeva più a chi chiedere consiglio circa una questione tanto delicata. Delicata. La parola è una crocifissione per il rispettabilissimo Preside. Delicata.
Era delicata, quella ragazza morta in seguito ad un incidente? Già le sue gote di ragazza, le sue speranze ed i suoi sospiri erano volati via. Come una piuma di colomba, strappata all'abbraccio della carne, veniva trasportata dal vento, allo stesso modo un'anima viaggiava verso chissà quale luogo, passando per una morte tragica.
Un incidente involontario, una reazione peggiore portavano un uomo rispettabile a disperarsi, a volere male a se stesso.
Gli occhi fissi sulla scrivania. Una foto del figlio. E se fosse stato lui, a morire, anzichè una sua studente? Il primo a dargli il nome di padre, su una strada grigia, coperto da un'atmosfera tragica. E invece no, una sconosciuta, una studente che non aveva neanche mai incrociato per i corridoi, se ne stava stesa sull'asfalto, e mentre un cuore non batteva più, l'altro si agitava e picchiava sul petto di un uomo meno forte di quanto si credeva.
Ma com'era successo? Tornando a casa, dopo la presentazione del libro di un amico, guidava neanche troppo veloce; era da solo, senza che sua moglie lo assillasse con le solite storie. 'Vai piano' gli diceva, 'stai attento', gli ripeteva. Come se almeno una volta fosse stato tanto incauto da sorpassare un limite di velocità.
Nonostante fosse di indole docile, il Preside, uomo rispettabile e composto, si sentiva libero da quella vita che, dopo la bellezza di trent'anni, cominciava a stargli stretta.
Erano anni che non provava qualcosa del genere. Una vita passata a studiare nozioni di latino e greco, i pomeriggi passati sugli specchietti di grammatica mai lo avevano ripagato quanto lo voleva. Le gioie dategli dal figlio ben bilanciavano i rimproveri di una moglie che prima amava, ma ora, non amava più.
Un bicchiere di troppo, sì disse, certo non cambierà la vita a nessuno. E si divertiva, alla festa, come un ragazzo: ma quale ragazzo? Lui giovane davvero non lo era stato mai. Comportatosi da vecchio durante l'adolescenza, si permise per almeno una serata di brindare ancora e ancora per riprendere il tempo perduto.
La serata era finita, e si dirigeva a media velocità, dritto sulla strada, accanto ad un motorino che non voleva quasi farlo passare. La ragazza si sposta sulla sinistra, lui accellera, le è accanto, il vino sdoppia l'immagine, un attimo di confusione, un flash, la urta. La ragazza, avventatamente, come se qualcuno che non era nè lei nè il Preside, avesse architettato un piano macabro, non si era allacciata il casco come si deve. Il Preside, persona rispettabile, si riprende. Trova un corpo sulla strada, non capisce neanche lui la dinamica dell'accaduto, e capisce di essere il colpevole. Il volto della ragazza guardava il cielo, e quegli occhi ormai spenti quasi sembravano guardare le stelle.
Come è tornato a casa, neanche lui se lo ricorda.
E se il figlio gli avesse chiesto com'era andata? Avrebbe confessato un delitto? Delitto, in latino scelere, anche azione turpe, infame, indicibile. Oh, piano con la fantasia! Cos'era successo poi? L'aveva voluto lui? Semmai si fosse scoperto qualcosa, se i poliziotti che avevano considerato l'accaduto un semplice incidente, avessero scoperto la verità, e il figlio gli avesse fatto domande, avrebbe saputo benissimo cosa dire: avrebbe raccontato la verità. Non era colpa sua, infatti. Era come se un destino avverso ed una serie di coincidenze beffarde fossero stati complice nel legarlo ad una croce nella sua adolescenze, e fossero tornati per finire il lavoro. Lo volevano morto, sì. Lui, infatti, il bere non lo toccava mai, e per strada era attento. Come sarebbe potuto succedere altrimenti? Affogava le risposte per lui scomode con un sospiro.
Ma, realisticamente, nè suo figlio nè le forze dell'ordine potevano fargli delle domande. Dopo che aveva messo in circolazione la voce del suicidio della ragazza, dopo che nessuno aveva neanche sospettato della sua colpevolezza, chi mai avrebbe potuto chiedergli nulla? E, d'altra parte, non era colpevole di nulla.
Mentre si convinceva di una falsità tanto evidente, cercava di tacere la sua parte più obbiettiva sacrificando la dignità che si era guadagnato. E sorgeva, nel suo cuore, una lotta.
Nel frattempo, una ragazza meno disillusa dalle angustie della vita, armatasi di coraggio, si intrufola nel suo liceo aiutata dalla notte e dal suo desiderio di verità.

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